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E’ passato Natale, non che mi interessi molto, ma è sbalorditivo quanto questa festa vuoi o non vuoi ti entri dentro, o forse sono le feste in generale, momenti di pausa che ti ricordano cose che non vorresti ricordare. Oggi ho un magone che non riesco proprio a sopportare, una nauesea ecco, un senso di vomito perennemente aggrappato alla mia gola come una zecca, e non so nemmeno spiegarmi perché.

 Da un po’ di tempo sono caduto vittima di uno stato pietoso, non ho nessun equilibrio mentale apparente, i miei umori capricciosi saltano da un estremo all’altro, lo stomaco segue voglie prive di qualsiasi orario e la mente, come se fosse stanca di amministrare questo corpo naviga, a volte verso oscuri sentieri solcati dalle onde, a volte verso dolci limbi di dimenticanza, soprattutto quando le goccie ansiolitiche fanno il loro effetto. Io che mi ostino, come un pugile che non vuole gettare la spugna, a toccare a piene mani il mio dolore, sintomo di ogni cosa errata passata presente e futura, faccio scempio di me stesso e rimescolo, giorno dopo giorno, come un bambino viziato, le carte della mia identità, ora scorgendo chiari e scuri, ora toccando cicatrici mai rimarginate, oppure accarezzando con dolcezza le mie paure, le mie rabbie. 

Sono giorni in cui non vedo una luce, in cui mi riesce davvero difficile credere in qualcosa, fosse anche soltanto il pavimento su cui cammino, e allora tutto mi sembra irreale ed io mi sento Alice, mi muovo tra strani gatti con le orecchie rotonde e i baffi lunghi, e mangio fiori saporiti che a volte mi fanno diventare grande a volte piccino piccino fino a quasi scomparire. 

Ci sono mattine in cui mi faccio una tale tenerezza, come se io fossi qualcos’altro e mi guardassi dall’esterno, che mi accarezzo per ore intere, sul viso noto rughe che prima non esistavano, noto quella piega amara sulle labbra che non avevo mai notato, e in genere i segni di una stanchezza tenue ma emergente che si diffondono in tutta l’anima fino a sbocciare in graziosi rigonfiamenti sul volto, rossori sul corpo, turbamenti sotterranei che pian piano emergono in superficie. 

C’è come un marchio, tatuato sulla fronte, sulle gambe, sulla pancia, dappertutto, che portano le persone che sono state rifiutate, gettate via in una pozza di dolore, e da quella pozza si riemerge piano piano, a volte camminando a volte strisciando come un verme, tra siepi troppo alte per essere sorpassate con un salto, e ramoscelli sporchi di fango essiccato che si appiccicano addosso infastidendoti, rendendoti ancora più difficile, se possibile, il cammino.

 C’è qualcosa di subdolo nella violenza privata e psicologica che ci infligge qualcuno a cui volevamo troppo bene, sono le conseguenze di un aggressione repentina, subita tra il silenzio del mondo esterno e vissuta con agghiacciante lucidità, mentre la memoria freneticamente segna ogni gesto, ogni parola, ogni profumo, tu sogni di essere in un sogno ma sai che sei fin troppo sveglio anche perché non puoi dormire, e se dormi sprofondi dentro incubi lunghi come autostrade, pozze di sudore che ricoprono tutto il corpo. Ma ciò che non ci uccide ci rende più forti, almeno così dicono, mentre perdiamo pezzi di noi stessi a volte il mondo ci consola, fingendo per noi pietà che nemmeno vogliamo, allora siamo inermi in quei momenti, lo scorrere del tempo è l’unico spartito che conti veramente, la musica che accompagna la nostra rinascita, il ticchettio malefico delle lancette, mentre l’eco sordo di un dolore acuto ci logora e profana ogni nostra nicchia di amore conservato, lo spirito è un malato terminale destinato a subire danni permanenti.

 E poi ci chiediamo chi sono i mostri che uccidono la gente, ci chiediamo chi è la gente senza cuore che inquina i fiumi e distrugge le foreste, chi sono i soldati con l’elmetto che eseguono ordini atroci andando pure oltre il loro sporco dovere, o gli ometti coi baffi e la statura da gnomo che accarezzano le rose e poi ordinano la morte di migliaia di creature innocenti, chi sono? Tutti si domandano, da dove spuntano, chi li ha inventati?  “ Ma non esisterebbe il giorno senza la notte, non esisterebbe la gioia senza il dolore, ne la vita, senza la morte”. 

Un saluto.