La narrazione ruota attorno ad un tema centrale: durante la persecuzione decretata dall'imperatore Decio, tra i membri della comunità cristiana di Catania che subiscono il martirio, per esemplarità si distingue una ragazza, di nome Agata, che resiste al governatore romano per fedeltà a Cristo ed é disposta ad affrontare crudeli torture e la morte per testimoniare la sua fede: é il 5 febbraio del 251. Il caso é così emblematico che non solo la comunità cristiana ma tutta la città riconosce in Agata la totale dedizione a Dio, per cui diviene fondamento della protezione e della libertà per la sua patria. In forza di ciò, a breve distanza dal suo martirio, il culto ad Agata assurge a modello da diffondere e tramandare, al punto da poter accreditare in seguito anche il culto all'altra grande martire siciliana, Lucia di Siracusa.
Il racconto della vicenda, secondo gli atti editi dal Mombrizio, può riassumersi in cinque momenti.
1. Il governatore Quinziano fa arrestare Agata per la santità della sua vita, perchè avido dei suoi beni, per il suo rifiuto di adorare gli déi. Agata resiste pure alle voglie libidinose di Quinziano e ai molteplici tentativi di corruzione messi in atto da Afrodisia, maestra in erotismo, alla quale é affidata dal governatore. Per trenta giorni Agata, ferma nel santo proposito di vita cristiana e perseverante nella preghiera, resiste anche a lei e alle sue figlie e si mostra orgogliosa della sua appartenenza a Cristo che non la rende schiava ma veramente libera e nobile. Al punto che Afrodisia dichiara a Quinziano: Afrodisia, fatta esperienza della fermezza dell'animo di lei, riferisce a Quinziano: «é più facile rammollire i sassi e rendere il ferro duttile come il piombo, che distogliere l'animo di questa fanciulla dall'idea cristiana». Le minacce e le insinuazioni sono considerate da Agata come vento e fiumi in piena che imperversano contro la sua casa, che però non cade perchè fondata saldamente sulla roccia (richiamo al vangelo di Matteo 7,24-27). Per questa ragione é disposta a perdere pure la propria vita ma non la fede cristiana e la verginità, ed anela alla corona del martirio, disposta a sostenere ogni supplizio per amore di Cristo.
2. In ossequio al decreto dell'imperatore Decio tutti devono esprimere pubblicamente la fedeltà agli déi. Quinziano interroga Agata sulla sua fede e cerca di indurla a sacrificare: il testo registra i nodi fondamentali della diatriba pagano-cristiana. Agata fa propria una classica argomentazione dell'apologetica cristiana contro i pagani: difende la libertà che le viene dalla sua fede in Cristo. Agata afferma: «La massima libertà e nobiltà sta qui: nel dimostrare di essere servi di Cristo». Con fine ironia, accusa Quinziano di essere schiavo di idoli che egli stesso per sè, e per sua moglie, rifiuta di imitare: gli augura, infatti, che la moglie «sia quale fu la tua dea Venere, e tu sia tale quale fu Giove, tuo dio».
Quinziano ordina, quindi, che Agata venga rinchiusa in carcere perchè, intimorita dalla reclusione e dalle sofferenze, si persuada a rinnegare la fede cristiana. Ma ella, ricolma di gioia e di fierezza, entra nel carcere e, come invitata a un banchetto nuziale, felice raccomanda a Dio con preghiere il suo combattimento.
L'indomani, di fronte alla fermezza di Agata, Quinziano ordina di appenderla ad un grande cavalletto e torturarla, mentre continua a sollecitarne l'apostasia. Ma Agata proclama la sua gioia di soffrire per il nome cristiano: «provo tanta gioia come chi sente una buona notizia, o come chi vede colui che da gran tempo ha desiderato, o come chi trova molti tesori». Manifesta, quindi, la certezza di «entrare nel paradiso del Signore con la palma del martirio», dopo che il suo corpo sarà dilaniato dai carnefici.
Il racconto mette in rilievo fin dall'inizio l'appartenenza di Agata ad una famiglia facoltosa. Pertanto, come altri fecero, anche lei era in grado di poter corrompere le autorità locali e avrebbe potuto acquistare un falsa attestazione di sacrificio agli déi. Ma ella non usufruì di questa opportunità. Viene così ulteriormente marcato il coraggio della coerenza e la libertà nella decisione di subire il martirio.
3. Quinziano, non potendo possedere Agata, decide di mortificarla nella sua bellezza fisica: le fa amputare le mammelle. Di fronte alla malvagità di Quinziano, Agata persiste nella sua professione di fede cristiana, lasciando intendere la sua consacrazione verginale a Cristo: «Non ti vergogni di strappare ad una donna le sorgenti della vita, da cui prendesti alimento al petto di tua madre? Ma io ho altre mammelle intatte nell'intimo dell'anima mia con le quali nutro tutti i miei sentimenti. Fin dall'infanzia le ho consacrate a Cristo Signore». In carcere Agata riceve la visita dell'apostolo sotto le sembianze di un vecchio, che la consola con la garanzia che ella ha scalfito l'animo di Quinziano: «Sebbene lo stolto governatore ti abbia inflitto tormenti corporali, con le tue risposte tu gli hai causato pene più gravi. E poichè ti ha torturato e ti ha fatto strappare il seno, la sua crudeltà é per lui interno tormento. L'anima sua é riservata ad eterna amarezza». Al contempo, le manifesta che é lì per sanarle il seno mutilato; ma deve vincere la ritrosia di Agata: «Il mio corpo non sarà mai toccato da medicine, fatte da uomini»; salvatore é solo Gesù Cristo che «con la sola parola cura ogni ferita. La sola sua voce tutto ristora. Se vuole, può rendermi sana». Allora il vecchio le manifesta di essere apostolo di Gesù, inviatole apposta per risanarle il seno mutilato. Di fronte, poi, alla possibilità di fuggire dal carcere, lasciato incustodito e aperto dai guardiani grazie al bagliore di una luce misteriosa, Agata rimane salda nella sua decisione di perseverare nella testimonianza a Cristo che l'ha salvata.
4. Agata continua a rifiutarsi di sacrificare agli déi e dichiara ancora la sua fede in Cristo. Quinziano, meravigliato per la inspiegabile guarigione del seno, condanna Agata per delitto di cristianesimo e comanda di farla rotolare, a corpo nudo, su cocci di vasi acuminati e su carboni ardenti. Durante l'esecuzione di questo ordine, un terremoto scuote con veemenza la città e periscono i due consiglieri di Quinziano. I catanesi, atterriti, attribuiscono l'evento sismico ad un castigo di Dio per le inique sofferenze inflitte alla loro concittadina, e irrompono in tribunale per avventarsi contro Quinziano che, impaurito dal terremoto e dalla sommossa popolare, ordina di riportare Agata in carcere e fugge da una porta secondaria del pretorio. In carcere, Agata allarga le braccia in preghiera: «Signore, tu mi hai creata e custodita fin dalla mia infanzia e nella giovinezza mi hai fatto agire virilmente. Hai tolto da me l'amore del mondo, hai preservato il mio corpo dalla contaminazione, mi hai fatto vincere la ferocia brutale del carnefice, il ferro, il fuoco, le catene, mi hai donato fra i tormenti la virtù della pazienza. Ti prego, Signore, accogli ora il mio spirito. é tempo che io lasci questo mondo per giungere alla tua misericordia». Conclusa la preghiera, Agata muore alla presenza di numerosi cristiani e di cittadini pagani.
5. La comunità cristiana si prende cura del corpo della martire e lo seppellisce secondo l'uso cristiano. Il significato e il valore del martirio di Agata viene inciso su una tavoletta che, narrano gli atti, viene posta nel sepolcro, vicino il capo della martire, da un giovane vestito di bianco, «seguito da più di cento fanciulli adorni e belli», che nessuno conosceva e aveva mai visto a Catania e mai più fu visto, e che tutti furono concordi nel riconoscere come il suo angelo. La tavoletta dichiarava Mentem Sanctam Spontaneum Honorem Deo Et Patriae Liberationem: Agata ha agito lasciandosi guidare da pensieri santi, dal desiderio di prestare onore a Dio e di ottenere la liberazione della sua patria. Dichiarazione che a Catania viene resa con il monogramma: m.s.s.h.d.e.p.l. Quelli che hanno avuto modo di leggere la tavoletta, la divulgano e infondono fervore in tutti i Siciliani. Insieme ai cristiani anche i giudei e i pagani iniziano a venerare il sepolcro di Agata. Elementi, questi, che incitano a divulgarne il culto e indurre alla conversione al cristianesimo giudei e pagani, non solo quelli presenti a Catania. L'esemplarità del martirio di Agata é, dunque, sprone per la comunità cristiana ad intensificare l'impegno di evangelizzazione e di conversione per tutti i popoli. La narrazione, infine, si chiude con la tragica morte di Quinziano nel fiume Simeto, mentre si reca ad appropriarsi dei beni di Agata e della sua famiglia: motivo ulteriore per far crescere la venerazione per Agata e il riconoscimento di un sicuro potere protettivo da chi, come Quinziano, intende molestare anche la sua parentela: «Nessuno mai osò molestare alcuno della sua parentela». Potere che i catanesi sperimentano nei confronti delle calamità naturali ad un anno esatto dalla sua sepoltura: il primo febbraio inizia una consistente ed impetuosa colata lavica dell'Etna che, liquefacendo tutto ciò che incontra sul suo cammino, si dirige verso la città di Catania; gli abitanti dei villaggi fuggono e vanno al sepolcro di Agata; preso il velo che lo ricopre, lo oppongono alla colata lavica e questa, immediatamente e miracolosamente, si ferma: é il 5 febbraio del 252. Al Signore Gesù Cristo, però, vada ogni onore, gloria e potere, perchè é lui che ha liberato la città dal pericolo per i meriti e l'intercessione di Agata.
A ben vedere, tra i cinque momenti in cui la narrazione del martirio può ripartirsi, il secondo sembra potersi considerare il più autentico. E' evidente la verosimiglianza con i motivi e le modalità della persecuzione decretata dall'imperatore Decio. Attorno ad esso, in epoche successive e magari da redattori diversi, potrebbero essere stati assemblati gli altri, secondo precise finalità educative per la comunità cristiana.
L'idealità del martirio di Agata, comunque, per secoli ha costituito, e tuttora costituisce, una precisa proposta pedagogica. Agata é presentata come modello di vita cristiana per la santità dei suoi propositi (mentem sanctam), e per l'onore prestato a Dio senza indugio (spontaneum honorem Deo), nella fedeltà a Cristo espressa: con la fierezza e il fine sarcasmo nel rifiuto di adorare gli déi; con il coraggio e la pazienza di fronte alle torture subite ingiustamente; con la certezza della vittoria finale del bene sul male, grazie al sicuro sostegno di Dio (espresso anche dall'intervento dell'apostolo); con la resistenza agli allettamenti per la sua bellezza femminile, attribuita più alla grazia divina che ai tratti naturali della sua fisionomia. Agata, quindi, viene presentata come eminente modello di donna cristiana, ricolma delle migliori virtù: bella, coraggiosa, paziente, e forte proprio quando la coerenza di fede chiede di affrontare anche un'ingiusta sofferenza e la morte.
Altre suggestioni sul significato che il martirio di Agata assume per i fedeli cristiani possono desumersi dall'etimologia del nome. é noto che in lingua greca significa "buona", esemplare per la sua bontà. Ma la Legenda aurea suggerisce anche altri significati, tra i quali: daaghios e theos, santa di Dio per la purezza del cuore, la docilità allo Spirito Santo e per l'abbondanza delle buone opere; da a privativa, geos terra e theos Dio, donna di Dio senza terra, cioé libera dall'amore alle cose terrene perchè innamorata unicamente di Dio.
Non sono mancati, tuttavia, i rischi di una lettura superficiale e unilaterale del martirio di Agata, sviando dall'idealità prevalentemente di ordine spirituale, di emancipazione dal fascino della passione e dagli allettamenti del corpo, di ideale femminile di giovane donna cristiana che esprime una forza virile, fuori dallo schema figlia-moglie-madre, per ridurlo a semplice ruolo protettivo della città. Rischio, in verità, dovuto all'accento posto, nella parte finale della narrazione, sulla liberazione dalle forze della natura per intercessione della concittadina santa. L'attribuzione di protettrice, della sua città e dei suoi concittadini (patriaeliberationem), viene introdotta nella narrazione soltanto come risultato della sua coraggiosa testimonianza della fede cristiana. Il potere taumaturgico e di protezione non le appartiene per sè, bensì consiste nella acquisita efficacia di intercessione presso Cristo, perchè a lui pienamente assimilata con il martirio.