Qualche cenno storico:
Pur presentandosi incompiuto a nord della grande chiesa, il monastero di S. Nicolò l'Arena, per la sua vastità è ritenuto secondo, in Europa, soltanto a quello portoghese di Mafra. Soprattutto nel '700 il suo immenso patrimonio, gli stretti legami con la nobiltà dalla quale provenivano la maggior parte dei suoi monaci, e un notevole prestigio culturale gli conferirono un ruolo di rilievo, non circoscritto al territorio catanese . Meta obbligata dei viaggiatori che ricordano ammirati l'ospitalità, le raccolte e il fasto dei Benedettini , il monastero si presentava come una reggia sorta sulla vasta area appoggiata alle mura occidentali della città (senza porte lungo la cortina compresa tra i bastioni degli Infetti e del Tindaro), e condizionava la vita civile e religiosa di Catania, dominando oltre i confini del largo muro di cinta che lo serrava negli altri tre lati, esaltandone l'autonomia, l'indiscusso potere economico e il carattere di "città nella città", soprattutto in rapporto ai contigui quartieri popolari.
Realtà urbanistica questa che solleverà problemi sempre più complessi, specie a partire dalla seconda metà del secolo scorso, con proposte, non sempre organiche e necessarie, avanzate a seguito dei vari concorsi per i piani regolatori (un esempio: la proposta dell'abbattimento del muro di cinta per recuperare gli spazi dei cortili e per mettere in tutta mostra le facciate orientale e meridionale); oppure, peggio, con interventi più o meno fortuiti, e stravolgenti nei riguardi dell'edificio e dell'ambiente urbano.
I Benedettini abitarono nel monastero sino al 1866. Tre anni dopo, il complesso venne consegnato dal Demanio al Comune; e ospitò distaccamenti militari e istituti scolastici. Ebbe così inizio un lungo periodo di suddivisioni (che non hanno più consentito di apprezzare il monumento nel suo insieme, agevolandone anzi l'abbandono e il decadimento, sin dallefondamenta) e di guasti (quelli più ricorrenti: muri delle celle abbattuti e corridoitramezzati per ricavarne aule; batterie di gabinetti nelle celle, nei corridoi e nei chiostri, ammezzati vari).
Nel 1977 è stato ceduto all'Università degli Studi di Catania, come sede della Facoltà di Lettere e Filosofia.
Nella regione etnea i Benedettini erano riuniti principalmente in tre cenobi. Mal sopportavano i disagi causati dal clima e dalle scorribande dei ladri, specie nella sede presso Nicolosi, e avevano più volte chiesto il trasferimento in Catania. Dopo l'adesione alla congregazione cassinese (nel 1506), e i danni apportati da terremoti ed eruzioni (nel 1536 la lava distrusse il cenobio di S. Leone), mossi dalla determinazione di un diretto intervento nella città, insistettero sino a quando ottennero di costruire entro le mura, "in loco detto la Cipriana e loco de lo Parco", nell'area designata dall'ingegnere Guascone.
Nel 1558, presente il Viceré, venne posta la prima pietra dell'edificio, dalla vasta pianta quadrata, il più grandioso della città. Sulla base di un passo dell'erudito Vito Amico, si attribuisce il disegno del monastero al benedettino catanese Valeriano De Franchis; che, in ogni caso, non può essere intervenuto prima del 1578. In questo stesso anno i monaci, con una solenne processione, presero possesso dell'edificio incompleto soprattutto ad oriente.
Sul finire del secolo si diede inizio alla costruzione di una chiesa, rivolta verso la città, e del chiostro che, progettato prima (forse su disegno di Giulio Lasso) su pilastri di pietra calcare, intorno al 1608 venne realizzato con colonne di marmo, e riccamente ornato poi nell'ordine sovrastante. Alla metà del '600 il monastero accoglieva 52 monaci, e numerosi fratelli e persone di servizio; si presentava arricchito di affreschi, di statue (nel chiostro), ed era dotato di un acquedotto. Una preziosa testimonianza iconografica ci è stata tramandata dall'affresco della sagrestia del Duomo - ad occidente, insieme alla mole del Castello Ursino, il monastero domina la città -, di poco posteriore al 1669, anno dell'eruzione che raggiunse l'edificio a nord e a ovest, e squassò in particolar modo la chiesa che, allineata sul lato settentrionale, avanzava sino al muro di cinta.
I Benedettini, riparati i danni della lava, ripresero ben presto il completamento dell'edificio e si dedicarono poi all'ambizioso progetto di una vastissima chiesa capace di accogliere una grande folla di fedeli, specie nell'occasione della sfarzosa festa della reliquia del Santo Chiodo. Da Roma chiamarono un noto architetto, Giovan Battista Contini, e nel 1687 celebrarono solennemente la cerimonia della posa della prima pietra. Frattanto nel chiostro sorgeva una grandiosa fontana di marmo (che venne poi, intorno al 1880, vandalicamente scomposta e dispersa per ricavare la palestra delle esercitazioni ginniche; di recente sono stati recuperati parte del basamento e varie lastre della grande vasca.
Da qualche tempo - soprattutto nell'ala orientale del vecchio monastero (corrispondente a quella ora inclusa tra i due chiostri), nel contiguo corridoio meridionale, e in altre parti comprese nell'ambito dell'edificio cinquecentesco - si vanno compiendo saggi e scavi che consentono il recupero di varie strutture che furono utilizzate agli inizi del '700 per la costruzione delle nuove fabbriche, o rimasero incluse tra i materiali delle macerie. I muri perimetrali interni ed esterni (tranne quello del prospetto meridionale, eretto più a sud per ampliare le celle) nel progetto settecentesco vennero incorporati insieme ai grandiosi scantinati a nord e a ovest. dalle volte a botte attraversate da archi - sono le fabbriche più antiche del monastero, costruite da mastro Santino Lombardo, "milanensis" del lago di Como -, e ai due contigui corridoi seminterrati, corrispondenti alle sovrastanti corsie del chiostro.
Dopo il terremoto del 1693 i pochi monaci superstiti tentarono di ricostruire in contrada Montevergine (nella zona della via omonima), ma nel 1702 si videro costretti a tornare al vecchio sito. Il messinese Antonino Amato, "l'Architetto che fa il disegno del Monastero", fu chiamato per un impianto più monumentale del precedente che venne ampliato verso oriente, formando una coppia di chostri appoggiata al fianco meridionale della chiesa del Contini. Altri chiostri a nord avrebbero poi completato il monastero con una soluzione simmetrica che fa pensare, tra l'altro, al complesso dell'Escurial. E certamente questo lo schema planimetrico a cui i Benedettini appaiono tenacemente legati riproponendone un'immagine dominante nelle piante della città incise nel corso del '700; e addirittura consegnando l'imponenza e la memoria di quell'impianto, quale modello ideale, ad un'opera famosa dell'Hittorff che nel 1835 - quando ormai, come si vedrà più avanti, risultava notevolmente modificata pubblica la pianta replicando a nord, con assoluta simmetria, tutta la parte a sud della chiesa, anch'essa idealmente completata, e corretta con lo scrupolo classicistico proprio di quell'opera, dimostrato persino nelle tavole dedicate agli interni e ai particolari decorativi.
Per realizzare questo più grandioso progetto bisognò tener conto del grosso banco lavico del 1669 (spezzato subito dopo l'eruzione, per dare luce e spazio ai due prospetti occlusi dal magma): si rese necessario fissare il pavimento del primitivo edificio oltre due metri più in alto, al fine di raggiungere - evitando enormi spese di sbancamento, vani di altezza spropositata o diversità di quote - il piano imposto dal banco lavico. In tal modo venne risolto il problema dell'allineamento dei piani e il collegamento dei due corpi del monastero disposti a sud e a nord della chiesa.
Nel 1703 fu steso il primo contratto degli intagli delle facciate (soprattutto di oriente e di mezzogiorno). Queste, in poco più di vent'anni, furono completate e decorate con "scartocci, figure, mascaroni, puttini : doviziosi frutti di un fantasioso repertorio, inferiori soltanto a quelli che si allargano scenograficamente nel palazzo del Principe Biscari, ma di esito architettonico più imponente e suggestivo - soprattutto nel cantone sud-est - per le paraste dell'ordine gigante, bugnate a punta di diamante, e per il vigoroso cornicione, ed esempio senza uguale di un gusto barocco ancora debitore della tradizione manieristica, diffuso e persistente nella fascia orientale dell'Isola.
Opera di Antonino Amato, le due facciate vennero lavorate dai più esperti intagliatori catanesi, quali Giovanni Nicoloso e i Battaglia, in società con i tanti "incisores lapidum" immigrati dopo il terremoto, come i messinesi Amato e i Palazzotto. Maestranze che si avvicendarono nel più fervido cantiere della risorgente Catania, nei vasti cortili del monastero limitati dalla lunga sequenza di magazzini, officine e scuderie cresciuta nel corso del '700 (e variamente adattata e ricostruita nel tempo, principalmente in rapporto alle esigenze del distaccamento militare, già nel 1865 insediato nel versante meridionale).
Il chiostro marmoreo venne rialzato e completato in più riprese, a partire dal secondo decennio: bisognò restaurare molti pezzi, sostituire pure non poche colonne, e ridurre gli ornati sovrastanti. Questi furono eliminati del tutto nel corso dei lavori del 1842, quando venne realizzato pure il parapetto di calcare e di ringhiere di ferro.
Dal 1730 i lavori procedettero con ritmo più continuo, si da consentire la visione degli ariosi corridoi, che attraversano le vaste ali dell'edificio e si incrociano agli angoli e al centro con limpido tracciato - notare come i finestroni più ampi e più riccamente intagliati sottolineano la presenza delle testate in esterno segnando i percorsi interni fiancheggiati dai chiostri e dalle confortevoli celle tutte allineate verso le facciate; e di apprezzare la disposizione delle scale che, con le funzioni e gli sviluppi diversi assegnati ai loro percorsi verticali, assolvono felicemente il compito di nodi primari per gli spostamenti dei monaci verso gli ambienti deputati ai vari momenti della vita della comunità: in particolare la scala prossima al coro di notte e alla chiesa (malauguratamente interrotta a seguito dell'ampliamento dei locali adattati per il Sacrario dei Caduti).
Andrea Amato, che dopo Antonino si era impegnato tra l'altro nella costruzione delle scale e della chiesa, nel 1732 cedette il campo a Francesco Battaglia. Questi, nominato architetto del monastero, si occupò soprattutto del collegamento verso nord, realizzato aprendo un passaggio nel muro del prospetto settentrionale per prolungare il corridoio al di sopra di un ponte costruito dietro l'abside della chiesa. Altro ponte verso nord era previsto per unire i corridoi delle celle occidentali, attraversando il giardino del "chiostro dei novizi".
Impegnando l'area a nord della chiesa, con la piattaforma lavica del 1669, i Benedettini - dopo aver completato le celle e altri locali, provvisoriamente destinati ai vari uffici- diedero inizio alla successiva fase del loro ambizioso progetto che si rivolgeva ora soprattutto a costruire i grandi vani necessari alla vita della comunità monastica, ovvero riservati ai locali di rappresentanza e alle sedi di notevole impegno culturale, più direttamente collegati con la città. Intorno al chiostro orientale si sarebbero disposti inoltre, su due piani, i numerosi ambienti oggi vi sorge soltanto, isolato sul lato nord, il palazzo Ingrassia inaugurato nel 1887 e sede dell'Istituto universitario di anatomia di un corpo di fabbrica ordinato in asse con il portale d'ingresso. Questo, aperto nel muro di cinta, si trova emblematicamente al centro e all'inizio della "strada nominata Lanza che scende da S. Nicolò": la strada più larga della città, pari solo a quella Uzeda, che attraversa formando una croce e il "teatro" delle "Quattro Cantoniere", nel cuore della risorta Catania.
A seguito di contrasti con i monaci, Francesco Battaglia non potè continuare i lavori intrapresi per il primo episodio del complesso settentrionale, il nuovo grande refettorio; e toccò a Giambattista Vaccarini, a partire dal 1739, stendere e realizzare i disegni relativi all'antirefettorio, ai due refettori, alla cucina, alla biblioteca e al museo. Lavori imponenti che documentano un modo diverso di ripartire gli spazi interni, sicuramente già anticipato dal progetto del Battaglia, e un più stretto rapporto con l'arredo (che ora, a parte la chiesa e la sagrestia, si conserva soltanto nell'antirefettorio e nella grande sala della biblioteca).
Da segnalare, dopo le leggi eversive e a seguito dell'istituzione di un osservatorio astrofisico in Catania, le sopraelevazioni sulla cucina e su altre parti di questo settore: specialmente sul corpo cilindrico dell'antirefettorio per collocarvi (nel 1885) la cupola della specola, provocando gravi lesioni e infiltrazioni d'acqua negli ambienti monumentali.
Il progetto vaccariniano appare compreso entro un perimetro corrispondente a quello del corpo meridionale; ma diverso risulta lo spazio destinato ai chiostri, come si può constatare soprattutto a ovest l'attuale piazza Vaccarini - dove si estende la grande cucina. Lo spazio sarebbe risultato ulteriormente ridotto da altre fabbriche (rimaste interrotte, come è visibile anche dalla piazza), quali il braccio costituito dalle celle dei novizi e dal relativo corridoio, che procedono verso nord.
Riprendendo i rapporti con i monaci, a partire dal 1747 Francesco Battaglia progettò l'armoniosa sagrestia, il coro di notte e il ponte verso il giardino (ricavato sulla lava del 1669); e diresse i lavori della chiesa drammaticamente interrotti nel 1755, per crolli e lesioni verificatisi nelle fabbriche delle cappelle prossime all'incrocio dei bracci (i muri visibili all'esterno del transetto nord vennero costruiti negli anni successivi quali contrafforti, anticipando parte delle fabbriche del futuro corridoio settentrionale). Come testimonia Brydone, nel 1770 la chiesa si presentava completa (anche di volta) solo nel presbiterio; dove, nel 1767, era stato inaugurato il capolavoro di Donato del Piano, l'organo "maximum et mirabile" che i Benedettini avevano ordinato come primo grandioso arredo, nel 1755.
Stefano Ittar, subentrato a Giuseppe Palazzotto - che sembra essersi prima impegnato soprattutto nello scalone principale - diresse i lavori della cupola (ultimata nel 1780), e nel 1769 progettò l'esedra e i palazzi allargati davanti al sagrato della chiesa, con una soluzione urbanistica scenograficamente suggestiva.
I Benedettini avevano dichiarato che la "bella vista" del monastero, "che dominava lo spazio piano sottoposto", era "offesa dall'aspetto delle umili e povere abitazioni che la circondano"; ma era anche loro proposito dare l'avvio al risanamento del quartiere accogliendo il consiglio dato "dagli Edili di trasformare quel piano in edifici civili".
Per un nuovo progetto della facciata della chiesa, già iniziata dagli Amato e da tempo interrotta, nel 1775 si indisse un concorso che ebbe sviluppi intricati. L'incarico venne poi affidato a Carmelo Battaglia Santangelo, che nel 1796 firmò, nel finestrone centrale, quest'opera ambiziosa e gelida, realizzata solo in parte per l'insorgere di difficoltà tecniche. Allo stesso architetto, e al cugino Antonino Battaglia, si rivolsero i Benedettini per moderare le prepotenti decorazioni barocche del portale e dello scalone monumentale, al quale diedero un diverso volto gli stucchi neoclassicheggianti di Gioacchino Gianforma.
Nell'ultimo ventennio del secolo l'impegno costruttivo appare molto ridotto. I monaci si dedicarono prevalentemente all'arredo degli ambienti profondendo somme ingenti nel museo e nella ricerca dei marmi più pregiati per gli altari della chiesa; e si rivolsero, sino al 1829, ad artisti in prevalenza attivi in Roma per le grandi tele delle cappelle. In questo periodo erano già stati ultimati l'ampliamento e la decorazione del quarto abbaziale che resero necessarie alcune trasformazioni negli ambienti di tutta quell'ala, principalmente nelle volte.
La costruzione delle celle dei novizi, fronteggianti il grande refettorio e aperte sul chiostro sistemato a giardino, si era protratta oltre la metà del '700. La parte estrema di quest'ala è stata alterata in varie riprese negli anni tra le due guerre per ricavare le stanze e le aule per un istituto scolastico: costruendo, tra l'altro, un secondo piano che, non meno delle fabbriche aggiunte a pianterreno, altera l'allineamento con il prospetto ovest del corpo meridionale del monastero.
Dal 1928, inoltre, l'inserimento di una palestra turba l'ambiente e impedisce di apprezzare la continuità tra i settecenteschi prospetti occidentali, invadendo il chiostro dei novizi che con le sue aiuole anticipava le delizie della "Villa Nicolina". Unitamente all'Orto Botanico, questa era stata ordinata sulla lava nel corso di decenni e con enorme spesa (la data finale, 1831, è segnata nel cartiglio del ponte).
Inesorabilmente, questa meritoria impresa dei Benedettini, è stata smembrata e distrutta per fare posto ai padiglioni dell'osservatorio e dell'ospedale V. Emanuele. Cinque anni fa, per ultima è stata eliminata - pur essendo destinata a verde dal piano regolatore generale - una larga esedra già scenograficamente tracciata in asse con la grande mole della cupola della chiesa.
Così l'insieme del monastero - e non solo il ponte e i prospetti occidentali risulta immiserito a seguito della perdita di uno degli spazi più ariosi e caratterizzanti riuniti entro il suo largo perimetro. Spazi che, con ruolo forse non inferiore a quello della vasta esedra antistante la chiesa, determinavano più decisamente la peculiarità del complesso architettonico e dei rapporti con il circostante ambiente urbano.
Delle rampe costruite in fondo al cortile meridionale, per salire verso la platea verde, è recentissimo il recupero di un rudere quasi informe, già inglobato nelle fabbriche della cucina dei militari.
Per la ripresa dei lavori architettonici di un certo rilievo bisogna giungere al 1841 (nella chiesa si realizzano iniziative di notevole impegno, quali l'altare maggiore e la grande meridiana di Waltershausen e Peters) quando a Mario Musumeci fu affidato l'incarico di completare i due chiostri meridionali. Il Musumeci progettò il secondo ordine del lato sud del primo chiostro, sulla corsia realizzata intorno alla metà del '700 su disegno di Francesco Battaglia, e diresse la costruzione delle altre tre corsie; decorò a forma di fasci littorii i tubi di cotto sistemati per le acque piovane nelle pareti dei terrazzi; nel primo chiostro, inoltre, curò la sistemazione della "floretta" con statue e fontane e progettò infine il pittoresco "Caffeaos" che vi si accampa al centro. L'eclettico architetto catanese disegnò in stile neo-gotico questo padiglione - il tempo lo ha ormai reso meno ingombrante e spaesato - che costituisce l'ultimo episodio di un impegno costruttivo interrotto dopo quasi tre secoli.
La vita oggi ai Benedettini:
Oggi il monastero dei benedettini ospita la facoltà di Lettere e filosofia e la facoltà di lingue e letterature straniere. E' davvero interessante visitare questa stupenda struttura, pullulante di vita, data l'enorme numero di studenti e professori che la frequentano quotidianamente. Il monastero è un buon posto sia da visitare che da vivere, magari per rilassarsi un pò o riflettere, aiutati dalla distensiva atmosfera che lo avvolge.