Può bastare una sensazione a capire dove andrà la tua vita. Nulla è cambiato davvero eppure tutto inevitabilmente da oggi sarà diverso. Come quando davanti allo specchio ti accorgi di aver cambiato espressione. Come quando vedi per la prima volta il mare. Nulla che non sapessi già eppure ancora inaccettabile.
Tutto è finito, perché da domani ci sarà un sogno in meno da inseguire, quello forse più importante senza il quale anche queste mille parole abbandonate a se stesse non hanno più senso di una frase scritta nell’acqua. Senza quella vana speranza non so immaginare i miei giorni. Limite tutto mio, quello di essermi legato allo scoglio sbagliato. Paradosso innaturale a cui si giunge se troppo spazio si è voluto dare all’ amore.
Deserto. Ecco cosa rimane, distese ondulate di sabbia a cui abbandonarsi. Custodi di una instabilità troppo difficile anche da raccontare per la quale occorrerebbero ben altre parole e ben altro inchiostro. Un punto su di un foglio bianco che continua a guardarsi attorno alla ricerca di un bordo che non esiste più. Vorrei fermarmi qui, attendere l’alba ed il giorno e la notte ed un’ altra alba ancora, all’infinito, senza volerne più cambiare le sorti.
Rabbia, rabbia che sale per i toni patetici ed apocalittici con cui scrivo di una parentesi. Rabbia per il mio rendere colossali storie infondo banali, scontate, e di nessun valore. Rabbia per il non saper dare il giusto peso alla vita. Una vita che in fondo mi ha dato più di quanto abbia restituito, più di quanto abbia meritato, più di ciò che di norma concede. Ingrata, per le molte fortune di cui mi sono appropriata e che in altri destini avrebbero avuto miglior sorte.
Pesante. E’ la pioggia, così come pesante è l’aria che respiro ma è niente rispetto alla paura del vuoto. E viene da chiedersi come sia possibile imboccare queste strade, ritrovarsi in queste acque stagnanti quando si potrebbe scegliere tutt’altro percorso.
Tasselli. Da ricomporre. Di nuovo. Da zero. Uno di seguito all’altro ma senza un direzione, senza sapere dove tutto questo mi porterà. Voglia di inerzia da contrapporre, voglia di restarmene immobile a guardare la pioggia che cade, lontano da tutto, da tutti. Voglia di lasciarmi travolgere, senza opporre resistenza con rassegnazione e disincanto.
Difficoltà. Anche nel chiudere questo post, perché subito dopo altri pensieri subentreranno sommando grigio al nero, aggiungendo vento alla bufera. E dire che tutto è partito da una sensazione, effimera come un nome che aleggia nell’aria, senza consistenza ma impossibile da ignorare.
Tempo. Che mi piacerebbe aver fermato allora in una sera fredda come questa, sospesa tra due giorni, in bilico tra distanze e vicinanze. Lo avessi saputo a quel tempo non avrei chiesto di andare un solo secondo più il là.
Luce. Che spero non ritorni. Perché forse più che gli inciampi a far male è l’illusione di rimettersi in piedi ogni volta. Perché al buio ci si può anche abituare, ma non alla penombra che un poco t’illude e subito dopo ti abbandona.
Singolarità. Come l’essere qui stanotte a raccontare a me stesso parole artificialmente addolcite, ma che nulla aggiungono a quello che so, che niente possono mutare. Sforzi che sarebbe meglio aver rivolto altrove.
Numeri. Che ricorrono e inesorabilmente quasi avessero un senso. Cifre di libertà che non servono a nulla quando fai le somme della tua vita. Sommatorie sempre negative alla fine.
Attesa. Vana attesa di cui si prende infine coscienza. Attesa di cosa poi? Di frasi da dirgli e gesti da fare? Attesa di miracoli a cui neppure credo? Attesa che tutto collassi su se stesso e sparisca con la stessa impalpabile silenziosità con cui è comparso? Attesa che scatti qualcosa in me in grado di stravolgere i percorsi obbligati che di giorno in giorni si ripresentano identici? Attesa che qualcuno comprenda lo strazio di orizzonti evanescenti?
Pensiero. Flusso ininterrotto e a senso unico. Parole che avrei potuto tenere per me.
Scuse. Che dovrei a mille persone ma non sono in grado di fare. Scuse a chi starà in pena per me. Scuse a me stesso di qualche anno fa, per non essere stato in grado di raccoglierne il testimone. Scuse anche a lei, ingiustamente finita in questa tela di ragno.
Cadavere. Quel che rimane di me. Morire dentro e respirare ancora fuori. Perdere l’anima senza un perché. Sentirla andare via lentamente e non riuscire a trattenerla, non darle un appiglio per restare. Perdere l’entusiasmo, l’interesse, l’impegno, la volontà, l’orgoglio, la determinazione, il rispetto. Perdere se stessi e non rendersene conto.